Ma vie d’adulte

Liz ha circa trent’anni, passa da un lavoretto all’altro e un pomeriggio qualsiasi scopre di avere la cellulite. Una verità banale che apre una breccia più larga: Liz si accorge che la sua vita va avanti uguale da troppo tempo, in un modo che le assicura “poche seccature”, di non essere “come gli altri”, che le permette di “avere tempo per me, per le persone care” e di “guadagnare poco, spendere poco. Per scelta. In parte”.

La cellulite proietta Liz nella dimensione della consapevolezza: la collega di lavoro ha il culo sodo e vent’anni, studia ancora e quando si sarà laureata cercherà un altro lavoro. Liz, laureata in lettere classiche, passerà al prossimo lavoretto malpagato, restando la mosca bianca trentenne in mezzo a colleghe giovanissime e di passaggio o quarantenni sottoqualificate. “Dopotutto sono solo lavori”, ma Liz va avanti così da troppo tempo e qualcosa comincia a pesarle. Inizia così la ricerca del famoso “lavoro vero”, e lo trova.

A volte i libri ti trovano così. Marsiglia, estate 2015. Una casa in prestito. Una vacanza sognata per anni, che arriva a chiudere un cerchio alla vigilia di un cambiamento (lavorativo) grande che già si è profilato all’orizzonte con contorni sufficientemente chiari da sapere che è lì e mi aspetta.  La testa piena di parole che non so mettere in fila, perché so ancora troppo poco di questo cambiamento per poterlo raccontare. Su uno scaffale vedo ma vie d’adulte, il titolo mi incuriosisce, lo leggo.

Finisce che ho le lacrime agli occhi, ma di sollievo.  Perché Ma vie d’adulte – sceneggiatura di Isabelle Bauthian, disegni di Michel-Yves Schmitt, colorista Virginie Blancher per le edizioni La boîte à bulles – ha per protagonista una “eroina” donna traboccante delle inquietudini delle trentenni d’oggi, e non solo è una storia scritta benissimo, ma ha anche un finale (a tema #cartaepanni, per di più) che si riapre, a ricordarmi che la vita, anche quella da adulti, ha sempre un orizzonte nuovo oltre ogni curva.

foto: mia, da Instagram